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Ettore Dezza
Italian Review of Legal History, 12/2017 3Journal Article
Nella prassi penalistica di età bassomedievale la regola contumax pro confesso habetur emerge con chiarezza in gran parte del continente europeo. In Italia essa si impone con particolare forza in età comunale, in connessione con due fenomeni che hanno l’effetto di connotare in senso fortemente negativo la contumacia: il processo di pubblicizzazione della giustizia e l’affermazione dei moduli inquisitori. Operando in stretto contato con due altri istituti-chiave, la confessione e il bando, la regola contumax pro confesso habetur – in quanto espressione della presunzione di colpevolezza – gioca dunque un ruolo non secondario nel definire i contorni della giustizia criminale nell’età del diritto comune e costituisce anzi una vera e propria architrave del sistema penale, specie quando si consideri che il fenomeno della contumacia – qualificata dai giuristi come confessio ficta – interessa una parte rilevante del totale delle cause penali. Nel XVIII secolo le risalenti regole romanistiche secondo le quali nessuno può essere condannato senza essere sentito (D. 48.17.1.pr.; 48.19.5.pr.; C. 9.2.6) ricevono nuova linfa, in prospettiva garantista e accusatoria, dalle prese di posizione in tema di contumacia penale assunte da numerosi esponenti dell’illuminismo, tra i quali spiccano i nomi di Voltaire e di Filangieri, che stigmatizzano a più riprese la barbarie del vigente sistema, degno di un «codice da Irochesi» . Nel vivace e stimolante ambiente toscano le nuove sensibilità in tema di contumacia si manifestano in un anonimo contributo apparso nel 1780 sul «Giornale de’ Letterati» e ben presto coinvolgono lo stesso granduca Pietro Leopoldo, che si occupa ex professo dell’istituto in occasione dei lavori preparatori della Leopoldina. In tale contesto, il tema della riforma del regime della contumacia occupa una posizione di particolare rilievo, ed innesca un articolato dibattito tra i fautori di riforme di ampia portata e di ispirazione illuminista (Cercignani) e coloro che si mostrano invece propensi più a una mitigazione degli aspetti più crudi della tradizionale procedura che a radicali innovazioni (Tosi, Giusti). Il contrastato processo di riforma culmina nella redazione di una nuova disciplina dell’istituto della contumacia penale (artt. 37-44 della Leopoldina) che, al pari dei più noti interventi sulla pena capitale e sulla tortura, costituisce una pietra miliare nella storia del riformismo penale settecentesco. Tale disciplina si incentra sulla definitiva abolizione del principio contumax pro confesso habetur e sull’equiparazione tra imputato assente e imputato presente, pur mantenendo una connotazione negativa in ordine alla contumacia, che si trasforma da confessio ficta in semplice indizio sottoposto alla valutazione del giudice.
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