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  • Cristalli, Beatrice

    Enthymema (Milano), 06/2017, Letnik: 17, Številka: 17
    Journal Article

    Nelle riflessioni degli anni 1823 e 1824, Giacomo Leopardi abbandona per sempre la giustificazione del male secondo quella critica della perfettibilità ‒ operata nella summa di cinquanta pagine dello Zibaldone ‒ che vedeva nel peccato di cognizione di Adamo l’origine della Caduta del genere umano e la conseguente fiducia nella «società stretta». Già nella prima operetta ci troviamo di fronte a una situazione molto diversa rispetto alla riscrittura filosofica della Genesi : l’infelicità, che ugualmente si specchia in un esilio archetipico, non viene più ricondotta a una volontaria corruzione dell’uomo, bensì a uno squilibrio fondamentale iscritto nella natura umana e nell’essere delle cose, che non trova più ragione né in un passato edenico né in una alterità possibile e incontaminata nel presente. In un tempo che ha escluso ogni redenzione ‒ per questo non si può parlare nemmeno di crisi ‒ , la Scommessa di Prometeo fallisce miseramente: l’individuo, in qualunque dimensione esso sia, non può fare altro che esercitare la sua morfologica arroganza, contemplata in un sistema di male necessario e indipendente che, alla fine, negherà la natura e la storia dell’uomo.